giovedì 6 dicembre 2012

La serata letteraria dello scrittore russo Zachar Prilepin

Ieri sera al Centro Russo della Scienza e Cultura, nell’ambito del Festival d’arte “Russia – Italia. Attraverso i secoli”, c’è stato l’incontro con lo scrittore russo Zachar Prilepin. Un evento a cui non potevo mancare.

All’inizio tutto filava liscio, secondo il solito programma di eventi simili: una trentina di minuti prima dell’inizio sono arrivati i rappresentanti della casa editrice italiana che pubblica i libri di Prilepin in Italia e lo scrittore stesso. Poi ha cominciato a radunarsi il pubblico e infine gli invitati e gli ospiti famosi, tra cui anche il famoso regista russo Petr Todorkovskij. Come di consueto in queste occasioni si è iniziato con strette di mano, abbracci, sorrisi, scambi di biglietti da visita, foto ricordo e video riprese, poi la serata ha finalmente avuto inizio. Zachar Prilepin era seduto al tavolo con accanto la direttrice della Casa delle Letterature di Roma Maria Ida Gaeta, e dalla fondatrice de "Il Manifesto"  Luciana Castellina. Dopo una breve introduzione del direttore del Centro, le signore hanno preso la parola raccontando (in ordine) de: la Russia, la letteratura russa, i libri di Zachar Prilepin. 

Il primo campanellino d’allarme è arrivato dall’interprete, una ragazza giovane e timida, che è inciampata subito sulla prima frase tradotta dall’italiano al russo. Si è interrotta, ha dimenticato le parole, ha cominciato a balbettare. Il pubblico, cercando di sciogliere la sua tensione, ha riso, ma non con cattiveria, in modo bonario, ed è stato deciso che lei tradurrà solo a Zachar, tanto tutti in sala capiscono l'italiano. 

Gli interventi continuavano alternandosi tra le due signore. Erano interessanti, anche se un po’ monotoni. Era divertente sentire come continuavano a storpiare i nomi delle città russe e dei titoli dei libri di Prilepin. Zachar sembrava un po’ annoiato. Era seduto con le braccia incrociate e con l’espressione indecifrabile sul viso e solo ogni tanto muoveva appena la testa ascoltando l’interprete che gli stava sussurrando la traduzione all’orecchio.  

Improvvisamente, quando tutti sembravano cullati da ciò che veniva raccontato, una voce maschile ha tuonato dietro di me: “Basta con queste idiozie. Sono venuto qui non per ascoltare voi, ma lo scrittore Prilepskij”. Nella bella sala affrescata è sceso un silenzio glaciale. Mi sono girata per vedere meglio il disturbatore dell’ordine. Era un uomo con la faccia rossa, in una T-shirt a maniche corte nonostante la giornata fredda. Stava sorridendo senza essere assolutamente imbarazzato. Si sentiva un forte odore di alcool e sigarette. Per un attimo mi è sembrato di essere tornata in Russia, qui a Roma non ho mai visto dei tipi così. 

A questo punto la serata è andata fuori controllo. Tutti si sono improvvisamente innervositi. Lo scrittore ha preso il microfono e ha detto che si chiama Prilepin e non Prilepskij. L’interprete si è bloccata di nuovo, e una signora dal pubblico ha cominciato ad aiutarla suggerendo le parole. Il direttore del Centro ha detto, in modo un po’ scortese a dir la verità, che gli ospiti devono sbrigarsi e dare finalmente la parola allo scrittore. Il pubblico stava zitto e un po impacciato. E solo l’uomo di prima si alzava ogni tanto dicendo che vuole fare una domanda. Lo zittivano subito dicendogli di aspettare il proprio turno. Infine, dopo tre tentativi, lui si è alzato e uscito dalla sala con una camminata incerta. Ma a questo punto la serata era già rovinata. Prilepin cercava di parlare dei suoi libri, gli ospiti al suo tavolo volevano continuare a parlare del loro viaggio in Transiberiana, il pubblico italiano voleva disperatamente capire come mai i russi non amano Gorbachev. Tutto è diventato grottesco…  

Ma tutto questo non ha importanza, in realtà Prilepin e i suoi libri mi interessano. Capisco Zachar e la sua nostalgia, il suo dolore per il paese che sta crollando, che è diventato “provinciale” come ha detto lui. Siamo coetanei con Zachar, nati nello stesso anno, quando ancora esisteva l'Unione Sovietica e da noi si pensava che quello era il miglior paese del mondo. Quando tutti i popoli e etnie all’interno di questo paese erano amici e non c’erano guerre e litigi. Quando ci dicevano che eravamo circondati dai capitalisti e noi eravamo preoccupati per gli altri bambini sfortunati di essere nati altrove. Poi, nel 1985 è cominciata la Perestrojka. Per la nostra generazione la Perestrojka non è stata cosi traumatica come per i nostri genitori. E siamo entrati nel secolo nuovo senza grossi problemi e nostalgie. Così ci sembrava. 

Ma ora, 20 anni dopo, improvvisamente percepiamo una doppia sensazione. Da una parte l’amarezza nel vedere un grande paese che sta morendo e la cui ricchezza viene svenduta. Dall’altra parte la voglia di vedere qualcosa di positivo in tutto ciò che sta accadendo in Russia, la voglia di trovare qualcosa di positivo in tutto ciò. La generazione nata dopo di noi non percepisce questo sdoppiamento. Per loro tutto è come deve essere. Noi invece sì, lo sentiamo. 

Zachar è uno dei ragazzini i miei coetanei, con i quali sono cresciuta e poi di colpo ho perso di vista, dopo essermi trasferita in Italia. Ed ecco che in Zachar ho incontrato di nuovo questi ragazzini che ormai sono diventati uomini. Come hanno vissuto tutti questi anni? Non so niente di loro. Qualcuno ha fatto carriera, qualcuno ha creato una famiglia, qualcuno è andato in guerra… Di questo scrive Zachar Prilepin, e per questo lui e i suoi libri, che leggerò, mi interessano.